La malattia di Alzheimer per i notevoli cambiamenti che comporta nell’identità del soggetto, porta il familiare a sperimentare vissuti contrastanti che oscillano dal senso di impotenza, solitudine, incomprensione al senso di colpa a sentimenti di tristezza dovuti al fatto di non riconoscere più il proprio congiunto, di convivere con una persona completamente diversa da quella conosciuta anni prima.
Per fortuna, tra i momenti di sconforto, i familiari possono avere a sorpresa qualche bella emozione dovuta a sorrisi, reazioni inaspettate che fanno ritrovare le persone che pensavano ormai “perse”.
Vediamo in questo articolo la testimonianza di chi ci passa tutti i giorni e nel bene o nel male.. si sorprende.
” Da quasi un mese a casa mia si parla del Natale. Del Natale, al quale mancano pochi giorni. O che è appena passato. Mia madre, che soffre di Alzheimer, non si è decisa ancora, non prende una posizione definita: non sa se siamo al 20 dicembre o al 10 gennaio.
Oggi ha scelto la prima soluzione. Per lei al Natale mancano pochi giorni, forse poche ore.
Ma non è il Natale del 2016. È quello del 1943.
A Petina, un paesino di mille anime delizioso come un presepe, mia madre passò l’inverno più freddo della sua vita. Così freddo che dopo 76 anni (riflettete su questo numero, è quasi un secolo, e si scivola dalla storia nella Storia) lei se ne ricorda ancora. C’era la neve alta, e di casa quasi non si usciva.
A un tratto la memoria le sovviene, mi guarda, non so se mi riconosce, ma racconta: «Faceva un freddo!», e ride. «Io sferruzzavo notte e giorno, volevo fare un maglione di lana per il mio fidanzato Peppino».
«E ci sei riuscita?» le domando.
«La lana non si trovava…» mormora lei, contrariata. «Non si trovava niente a quei tempi! C’era una miseria, una fame…».
Di nuovo, chissà perché, ride.
Mi guarda un po’ perplessa, poi aggiunge: «Ma tu sei mio figlio?».
«Sì» le rispondo. «E non ti ricordi quel maglione di tuo padre, quello grigio?»
«Mamma, forse non ero nato…».
«Non eri nato?» ripete stranita. Sento che di nuovo sta scivolando via, e non dalla storia nella Storia, bensì dalla realtà che condividiamo in quel mondo solo suo, dove tutto è vero e tutto è inventato. Simile, in fondo, a quello delle favole.
Aveva 17 anni, nel 1943. C’era la guerra, ma lei pensava all’amore. E ci pensa anche adesso.
«Devo finire il maglione per Natale!» si dispera:. «Quando torniamo a Napoli? Bombardano ancora? Non m’importa, andiamo, voglio tornare a casa!».
Non c’è verso di calmarla. Deve finire il maglione e deve regalarlo al fidanzato. A quel ragazzo che un giorno sarebbe diventato mio padre.
Vengo, in fondo, anche da quell’inverno. Vengo da questa donna forte, che non ha avuto paura di nulla, pronta ad affrontare la guerra per inseguire il suo amore. Questa donna che non ha paura adesso della malattia, della vecchiaia e nemmeno della morte.
«Gliel’ho promesso» dice con fermezza. «E lo farò. Dovessi cecarmi gli occhi, finirò quella maglia! E poi, se troviamo la lana, ne faccio uno pure a te, va bene?».
La ringrazio. Chissà chi pensa che io sia. Ma mentre esco dalla stanza, mi chiama, e di nuovo mi domanda.
«Ma tu sei mio figlio?».
«Sì» le rispondo.
E lei mi sorride. Per un attimo è di nuovo mia madre: lo so, perché quel sorriso non mi ha mentito mai. ”
http://www.donnamoderna.com/news/societa/alzheimer-quel-natale-lontano-della-mia-mamma