Guardate con attenzione gli autoritratti di William Utermohlen, un artista americano che ha lavorato a Londra per la maggior parte della sua vita professionale, osservateli nel corso degli anni a partire dal 1996 al 2000. Un testo scientifico sulla malattia di Alzheimer non riuscirebbe, con uguale efficacia, a farvi comprendere la realtà che vive una persona dal momento in cui gli è stata diagnosticata quella che viene definita “la malattia del lungo addio”. Rappresentano il racconto di un uomo che si vede scomparire, un’identità che si perde come se qualcuno la cancellasse a mano a mano.
William Utermohlen nato il 4 dicembre del 1933 è morto nel marzo del 2007 per le conseguenze della malattia di Alzheimer. Le sue opere rappresentano una testimonianza completa e coerente dell’esperienza di un paziente malato. Nei suoi ultimi lavori ha raccontato, attraverso i segni, quel che non è più possibile raccontare con le parole: la rottura interiore, la frammentazione umana provocata dalla demenza, un cambiamento desolante e inarrestabile a partire dalla diagnosi avvenuta nel 1995. Una diagnosi di morte, una morte psichica che arriva prima della morte stessa. Nell’autoritratto del ’96 l’artista si trova ad affrontare il suo destino terribile, conosce la prognosi della malattia e sa che non è reversibile, il suo mondo si è ridotto a una prigione. L’immagine ultima del 2000 è una cancellazione, non è presenza né assenza, Utermohlen vuol rimanere, ma sta scomparendo. La figura simbolo di una paura tremenda diventa circolare ed è ingoiata nell’occhio dell’oblio.
I dipinti rappresentano un’esplorazione artistica così dettagliata nella quale possiamo leggere il racconto dei traumi vissuti, la trama di una storia unica di una malattia implacabile che invade la sua mente e tutti i sensi. L’artista con coraggio e tenacia ha cercato nel tempo inesorabile che lo allontanava alla propria dimensione di coscienza di adattare gli stili e le tecniche alle crescenti limitazioni motorie e percettive, per produrre immagini che comunicassero quello che stava vivendo. L’arte diventa anche una terapia, un tentativo di auto guarigione. Utermohlen è forse uno dei pochi artisti colpiti dal morbo di Alzheimer ad essere stato capace di immortalare l’esperienza personale di demenza in un modo così articolato e potente. La lettura psicologica delle sue opere, traduce i passaggi di una disperata situazione, una solitudine sempre più evidente. Alcuni dei suoi lavori permettono di individuare, ancor prima della diagnosi di malattia, il momento preciso in cui si affacciano i primi semi del morbo di Alzheimer.
L’auto monitoraggio che l’artista fa del proprio stato è negli anni seguito regolarmente dall’ospedale neurologico in cui è in cura. Cosa succede alla mia mente? Sembra chiedersi William mentre dipinge se stesso, I suoi sforzi sono evidenti nei segni sempre più strazianti e minimalisti, la figura si sgretola, l’intensità del messaggio è forte e arriva fino a noi il bisogno ultimo di spiegare un sé alterato, sempre più lontano, mescolato a sfumature di tristezza e abbandono. Il grande talento rimane, ma arrivano grandi cambiamenti, a volte l’artista usa l’acquerello e dipinge una serie di maschere, forse perché così può più rapidamente esprimere il suo disperato tentativo di comprendere questa condizione. Più i sintomi della malattia si amplificano e si accentuano i disturbi della memoria, dell’attenzione, della capacità di rappresentare lo spazio, di riconoscere gli oggetti e capire la loro funzione… di riconoscersi…più incerti sono i segni, il movimento. Un’immagine degradata di sé è la diretta conseguenza della disfunzione neurologica.
Le ultime opere possono essere considerate un vero e proprio diario dello sviluppo clinico dei disturbi e del deterioramento cognitivo causati dall’Alzheimer, un lavoro utile per lo studio, ma per noi importante perché è il resoconto commovente e forte dell’esperienza personale di un uomo e della sua malattia. (s.lup)