Vediamo cosa prevede il CCNL lavoro domestico, in quali casi si può procedere al licenziamento per giusta causa.
Vista l’emergenza, però, e le disposizioni del decreto Coronavirus, la situazione per i collaboratori domestici diventa complicata.
Da un lato, potrebbero essere le stesse colf e badanti a non voler andare a lavoro per evitare il rischio di essere contagiate.
Potrebbe succedere anche la situazione inversa, ovvero sono i datori di lavoro ad avere paura del contagio, soprattutto se il collaboratore domestico è straniero, come nella maggior parte dei casi, ed è appena tornato da una zona a rischio.
Il problema più grande è che ad avere bisogno di maggiore assistenza sono gli anziani, la categoria più a rischio in caso di contatto col Coronavirus.
Dunque, come comportarsi? Vediamo cosa prevede il contratto collettivo nazionale di lavoro e quali sono le richieste avanzate dalle associazioni di categoria al Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo.
Coronavirus, colf e badanti a rischio licenziamento? Cosa prevede il CCNL
L’emergenza Coronavirus che imperversa sull’Italia sta iniziando a far sentire le prime conseguenze sul lavoro domestico.
Le famiglie datrici di lavoro si trovano in una situazione particolare: secondo quanto previsto dal CCNL lavoro domestico, in particolare dall’articolo 27, hanno due obblighi:
- d’informazione di eventuali rischi relativi a particolari agenti chimici, fisici o biologici;
- garantire ambienti di lavoro sicuri e salubri.
Entrambi gli obblighi sono scattati nel caso dell’attuale situazione che vede il virus Covid-19 come protagonista.
A questo punto però, viste anche le disposizioni del decreto Coronavirus, le situazioni che si potrebbero verificare tra datore di lavoro e collaboratore domestico sono essenzialmente due.
Nel primo caso, è la badante stessa a non voler andare a lavoro per paura di essere contagiata,
Nel secondo caso è la famiglia datrice di lavoro che preferisce evitare i contatti.
Cosa deve fare il datore di lavoro? La famiglia in questa situazione può avvalersi della sospensione di lavoro extra-feriale, disciplinata dal CCNL.
In pratica, il datore di lavoro stabilisce un’interruzione del lavoro per un certo periodo di tempo, che in questo caso può avere la durata della quarantena. Durante questo lasso di tempo resta fermo il pagamento della retribuzione.
Per il lavoratore domestico quindi è come un periodo di ferie pagate e “forzate”.
Qualora però il datore di lavoro non avverte una situazione di rischio, ma la colf decide comunque di non presentarsi al lavoro, si può procedere con un licenziamento per giusta causa.
È necessario però che il datore di lavoro informi il collaboratore domestico sui rischi che potrebbero esserci nell’ambiente di lavoro; in caso contrario, se la badante dovesse poi essere contagiata, potrebbe avere gli estremi per fare causa alla famiglia presso cui lavora.
Coronavirus, la situazione di colf e badanti: come si devono comportare i datori di lavoro?
Le famiglie datrici di lavoro non sanno bene come comportarsi, perché è necessario sia accudire i propri cari che tutelare la salute del collaboratore domestico.
Per questo motivo l’Assindatcolf, l’associazione sindacale che rappresenta i datori di lavoro domestico, ha inviato una lettera al Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo per chiedere di essere coinvolta nel processo decisionale.
Le principali richieste avanzate dall’associazione sono ammortizzatori sociali, agevolazioni fiscali, aiuti economici e continuità assistenziale.
Come si legge nel comunicato stampa del 25 febbraio, sono circa 2,5 milioni le famiglie che hanno alle proprie dipendenze altrettanti lavoratori domestici.
Un “esercito”, a cui vengono imposte interdizioni e/o limitazioni negli spostamenti, e le famiglie non sanno:
“se proseguire il rapporto di lavoro, pagando stipendio e contributi a fronte di una prestazione che non può essere svolta o se licenziare. E ancora, si interrogano su come garantire continuità assistenziale per anziani, disabili e malati, su come pagare e retribuire baby sitter per i figli piccoli.”
Per Andrea Zini, vice presidente Assindatcolf, si tratta di domande lecite, che riguardano in particolar modo l’Italia settentrionale, dove si registrano quasi la metà dei contratti di lavoro.